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Nome in codice "Katicabogar" ... "Coccinella" ...
Al servizio del #Allamvédelmi Hatosag#. La Polizia Segreta Ungherese. I miei genitori naturalmente avrebbero voluto per me un’esistenza sicura. Almeno per i figli desideravano una sorte migliore della loro. Mia madre sperava che scegliessi la carriera di medico, io aspiravo a diventare archeologa o geologa. Ma erano sogni senza speranza, quelli.
Al Metro KJub, il più famoso locale di Budapest, avevo conosciuto un uomo sopra i quaranta. Mi disse che mi avrebbe aiutato a trovare un lavoro remunerativo, se avessi lasciato il liceo che frequentavo da qualche anno, e ben presto indossai la gonna corta nera e il grembiulino bianco delle cameriere nel Caffè dell’Hotel Intercontinental a cinque stelle, il più elegante di Budapest.
Ero entusiasta, sentivo che questo lavoro faceva per me, con il suo ambiente lussuoso, i clienti ricchi. L’hotel era frequentato da delegazioni straniere, ospiti di congressi, americani, francesi, italiani, tedeschi e molti arabi di Beirut.
Un mattino la Direttrice dell’ hotel venne da me con un gran sorriso. «Scusa, cara Ilona, vuoi essere così gentile da venire nel mio ufficio?» mi chiese con voce tenera. Le domandai. «Delle persone molto importanti desiderano parlare con te. Non so che cosa vogliano. Vi lascio parlare.» ...
Nella stanza c’erano tre uomini alti, eleganti, sembravano clonati tanto erano simili. Avevano all’incirca trentacinque anni. Avevano i capelli pettinati all’indietro, con il viso ben rasato. I loro impermeabili e i cappelli erano sull’attaccapanni. Quando entrai nella stanza, quello più vicino a me mi diede la mano. Aveva una stretta fredda e asciutta, i suoi occhi grigio blu mi trafissero.
«Buongiorno compagna» mi salutò. «Non deve avere paura, non le vogliamo fare alcun male. Anzi, lei è una ragazza molto carina. Abbiamo sentito solo cose positive su di lei.» «Dicono che lei è gentile e i clienti le vogliono bene. Riceve molte mance da loro?» «Non molte. E poi non le accetto sempre» lo interruppi io. «Ma perché non dovrebbe accettarle? Non è mica peccato prendere quello che le danno. Sappiamo che la sua famiglia ha bisogno di soldi» disse l’uomo seduto sulla poltrona, poi aspirò un lungo tiro dalla sigaretta. Non si erano nemmeno presentati, non sapevo chi fossero, né da dove venissero. «Vorrebbe guadagnare di più?» mi chiese uno dei due, stavolta senza mezzi termini. La domanda si perse nell’aria, non sapevo quale fosse la risposta giusta, quindi rimasi zitta. L’uomo spense la sigaretta con un gesto nervoso. «Se lei ci aiuta, anche noi aiuteremo la sua famiglia» spiegò. «In cosa vi posso aiutare io?» chiesi. «È facile. Stia attenta, chiacchieri, conversi con i clienti. Sia gentile con loro, se la invitano a cena, ci vada, non è molto complicato. Capisce di cosa si tratta?» Annuii, senza riuscire a pronunciare una sola parola. «Lei è una ragazza molto bella e giovane, non sarà un compito difficile» sorrise incoraggiante il terzo, fino a quel momento silenzioso. «Qual è il suo stipendio adesso?» Lo dissi.
Trattennero le loro risate a stento. «Può guadagnare venti, trenta volte di più in cambio di qualche semplice compito. Che cosa ne dice?» La mia tensione si sciolse, la somma allettante stimolò la mia curiosità. «Che cosa devo fare in concreto?» domandai. «Qui soggiornano moltissimi stranieri. Uomini d’affari, scienziati, capitalisti, arabi. Deve parlare con loro per raccogliere più informazioni possibili. Deve scoprire da dove vengono, cosa fanno qui, di che cosa si occupano nel loro paese.Conquisti la loro fiducia, sia disponibile, gentile e carina. Se la invitano a cena non si tiri indietro. Anzi, se riesce a entrare nella loro camera...»...
Fu quello con la giacca grigia a elencare i miei compiti e nel frattempo estrasse dalla tasca un piccolo oggetto. Me lo mise in mano. «Tenga. Immagino che non abbia mai visto una cosa del genere, ora è meglio che la conosca. È una macchina fotografica in miniatura, l’aiuterà nel lavoro. Le spiegheremo come funziona. È un bel congegno, sa? Se vede dei documenti nelle camere, ne fotografi più che può. Non sarà difficile per lei, c’è la farà benissimo.»
Appoggiò la macchina fotografica sul tavolo. Io aspettavo il seguito. «Avrà anche un contatto. Le manderemo a dire con chi fare amicizia. Non parli con nessuno di quello che fa, neanche con i suoi familiari. La macchina non la dovrà vedere nessuno. Per quanto riguarda i soldi, può tranquillamente dire che si tratta di un aumento, oppure delle mance. Ci rifletta pure per qualche giorno, ma non rifiuti la nostra offerta. La cerchererno presto» concluse l’uomo e finalmente sorrise gentile.
Mantennero le loro promesse...
I miei contatti mi ripetevano che si trattava della difesa della nostra patria dagli stranieri. Conclusi molte missioni per loro, missioni segrete e molto pericolose…se dovessi raccontare tutta la storia delmio periodo di ingaggio per i Servizi Segreti Ungheresi di sicuro diventerei protagonista di un film insieme a JAMES BOND, sarebbe davvero interessante e diventerebbe un successo per la più famosa serie di Film su JAMES BOND 007.
A quei tempi ero una creatura istintiva, alla quale non piaceva complicarsi troppo la vita, preferivo che fosse la vita a travolgermi. Volevo scegliere io cosa fosse meglio per me. Non approfondii mai il mestiere di spia e ne uscii sana e salva senza pericoli sulla mia vita. Sei mesi dopo, infatti, ero già in Italia.
A voi la visione di una parte dell’intervista registrata e mandata in onda sul CANALE NOVE del digitale terrestre durante la trasmissione TV “LA CONFESSIONE” condotta dal giornalista Peter Gomez, andata in onda a Giugno 2018.